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Trova il tuo perché

Un paio di anni fa lessi di fila “Inizia dal perché” (Start with why) e “Trova il tuo perché” (Find your Why) di Simon Sinek. Il libro mi colpì abbastanza, non tanto per il modello/framework/workshop di ricerca del proprio perché (lasciatemi passare il termine “una americanata“) ma, per come determinati passaggi risonassero forti con una voglia di cambiamento che avevo dentro ed allo stesso tempo mi lasciassero insoddisfatto su altri livelli.

Lo vivevo come una sorta di incompletezza e non riuscivo a capire se fosse sul fronte mio di comprensione dei libri o su quanto il testo in realtà approfondisse determinati aspetti della ricerca del perchè in modo troppo approssimativo.

Una delle miei personali motivazioni all’agire è sempre stata quella di migliorare quello che ho intorno, non limitandomi ad obiettivi effimeri ma puntando a ragionare a lungo termine. L’ecosistema al quale mi sono praticamente sempre riferito è quello del web development.

Il GrUSP ne è un esempio (tra l’altro l’ho espresso in modo molto esplicito con un talk ripetuto in più eventi fin dal 2012), le lecture di apertura/chiusura corsi accademici dell’università o nei licei ne sono un altro così come il voler far crescere professionalmente chi lavora con me.

Poi mi accorsi che uno dei principali caposaldi di Sinek

Regardless of WHAT we do in our lives, our WHY—our driving purpose, cause or belief—never changes.

Simon Sinek – Start with why

era tra quelli che più mi infastidiva. I perché sono immutabili? Da buon follower (?) di Eraclito non potevo accettarlo.

Premetto che, la ricerca del perché delle cose (rimettendole spesso in discussione) e quello personale, è un approcio che se prima avevo interiorizzato con le varie pratiche agili e lean, ma anche e soprattutto del sano buonsenso e pragmatismo, è poi esploso in tutta la potenza nel momento in cui mi sono accorto che effettivamente non mi stavo divertendo più nelle cose che stavo facendo.

Avevo quindi scelto un perché sbagliato? Non lo so, però, forse dopo anni di esperienze e crescita professionale, mi iniziava a stare stretto così come il solo ecosistema di riferimento scelto.

Un tassello del mio malessere è che sentivo il mio settore di appartenenza essere troppo effimero, autoreferenziale e di poco di valore (per me, per la collettività ed ogni tanto per il buonsenso). Insomma un giorno una vocetta ha iniziato a bisbigliarmi nell’orecchio: basta sitarelli (anche se di volumi importanti), progetti sulla blockchain inutili o piattaforme social per ultra nicchie. Bisbiglio che nel tempo è cresciuto fino a diventare un urlo di totale (in)sofferenza.

Quello che però ho scoperto, negli ultimi mesi, è che, anche se pensavo di essermi stancato dell’informatica in realtà, mi ero stancato di un certo tipo di informatica inutile ad una mia personale definizione di perché che nel frattempo stava maturando anche in altri contesti ben più ampi.

Ho capito quindi che se sei uno sviluppatore, un tecnico, un consulente, un imprenditore o un nerd e ti piace quello che fai ma non ti piace dove lo fai probabilmente devi cambiare industry. Forse non devi fare sviluppo di siti editoriali, ma videogiochi. Oppure devi guardare il mondo dei sistemi machine-to-machine oppure ancora devi darti allo sviluppo di piattaforme in ambito medicale o per il trading e così via. Oggi, lavorare come tecnico in ambito tecnologico non è un fine ma un mezzo per poter entrare più agevolmente nella industry che più risuona dentro di te rendendoti soddisfatto.

Dal mio canto ho scoperto che continuare a lavorare con gli ecosistemi mi piace e mi piace di più estenderne il concetto anche in ambito di sostenibilità. Economico, ambientale e sociale.

Vedremo come evolverà questo prossimo decennio lavorativo.

E comunque la risposta è dentro di noi, ma sbagliata.