La siccità e la mancanza di acqua (potabile) saranno le sfide di molti governi nei prossimi anni. Per fare un esempio quest’anno in Danimarca i falò per le feste del solstizio sono stati annullati su quasi tutto il territorio nazionale per il rischio incendi, e questo è nulla rispetto a quello che sta succedendo in Uruguay dove anche l’acqua potabile è agli sgoccioli.
L’aumento della necessità di potenza di calcolo per i datacenter non aiuta per nulla. Google ha dovuto rivedere i propri piani, in Uruguay, perché il datacenter in fase di costruzione avrebbe utilizzato l’acqua necessaria a servire più di 55000 persone. Persone che oggi stanno manifestando per avere accesso all’acqua potabile e per cui il governo farà partire supporti per garantire almeno 2lt di acqua alle famiglie meno abbienti, quelle cioè che non possono permettersi l’acquisto di bottiglie d’acqua che ormai hanno raggiunto prezzi stratosferici per il mercato locale.
Costruire infrastrutture IT sostenibili, nell’uso delle risorse ambientali e nell’impatto sociale, é una necessità sempre più attuale ed i big del settore, alla rincorsa di tecnologie energivore come Bard e ChatGPT, devono impegnarsi seriamente a identificare quelle tecnologie utili a perseguire questi scopi senza exploitare le popolazioni locali.
Intanto in Italia, i nostri impianti idrici disperdono una media del 30% di acqua, arrivano in alcune province a punte del 70% come dice il report Istat sull’Acqua 2022, in un periodo storico in cui siccità ed alluvioni si alternano con una forza ed una frequenza sempre più preoccupante. Delineando scenari non particolarmente entusiasmanti e sui quali, la nascita di nuovi datacenter impatterà ancora di più.
Diventa quindi anche una responsabilità di chi sviluppa software o offre servizi SaaS di farli girare su datacenter green, che usano energia rinnovabile e hanno bassi sprechi di acqua, e di adottare e seguire pratiche di greenIT. Mentre i datacenter, dal canto loro, dovrebbero garantire con progetti di sostenibilità sociale il mantenimento dello status quo nell’accesso all’acqua se non addirittura investimenti sulle infrastrutture da loro usate al fine di ridurne gli sprechi.